A New Week Incipit 📖 Borderlife - Dorit Rabinyan
By TBS • The Book Seeker - 10.9.18
A New Week Incipit gioca con la parola incipit, appunto, sostantivo che deriva dal verbo latino incipere (incominciare). Quale giorno della settimana poteva mai essere dedicato a questa rubrica se non il lunedì?
E quale modo migliore per iniziare una nuova settimana se non quello di proporvi un assaggino di un libro riportandovi qui il suo inizio, sperando di stuzzicare il vostro appetito letterario?
Buoooon lunedì, lettori!E quale modo migliore per iniziare una nuova settimana se non quello di proporvi un assaggino di un libro riportandovi qui il suo inizio, sperando di stuzzicare il vostro appetito letterario?
Spero che il vostro sia un inizio di settimana migliore del mio, dato che sono giorni che dormo pochissimo e giusto oggi, che avrei avuto bisogno di recuperare per non perdere la sanità mentale, sono stata svegliata alle 5 da rumori vari ed eventuali. 😞
Ma oggi in alcune regioni d'Italia si torna sui banchi! Buon inizio scolastico a tutti e, mi raccomando, al primo segnale di stress, correte a cercare un rimedio nel BookPorn contro la Sindrome da Rientro!
Ora però veniamo all'A New Week Incipit di questa settimana: stavolta ho scelto Borderlife di Dorit Rabinyan, romanzo letto e recensito un po' di tempo fa (la recensione la trovate qui).
Ecco il suo incipit seguito dalla sua scheda completa di trama e, se non l'avete mai letto, fatemi sapere se vi è venuta voglia di recuperarlo!
C'era qualcuno alla porta. Gli educati cinguettii non si erano fatti strada nel frastuono assordante, e solo dopo aver perso il garbo iniziale, divenendo aggressivi e prolungati, riuscirono finalmente a scuotermi dalle mie fantasticherie.
Il rombo dell'aspirapolvere e i Nirvana a tutto volume erano una combinazione devastante. Era metà novembre, un sabato di primo pomeriggio. In mattinata avevo sbrigato alcune commissioni e ora, in salotto, stavo pulendo i divani e il pavimento di legno, nelle orecchie il ruggito dell'aria misto a echi di note.
Eppure, era proprio quella monotona e bianca cortina di rumore a instillarmi una certa serenità. Da qualche minuto ero come smarrita in uno stato di smemoratezza, mentre brandivo il tubo d'aspirazione che cercava polvere sul tappeto e peli di gatto fra le fibre del tessuto: ero senza pensieri, serafica, tutta presa da quelle forti tinte rosse e blu che penetravano nella trama del tappeto.
Cessato il sibilo dell'aspirapolvere, tornai alla realtà. In quel preciso istante risuonarono, smorzate, anche le ultime note della canzone. E proprio allora, in quello spiraglio di tre o quattro secondi prima che cominciasse il brano successivo, mentre ero ancora stordita dal silenzio e dal vuoto che mi rimbombava nelle orecchie, si udì lo stridio del campanello. Ero come una sorda che di colpo riacquista l'udito, e faticai a ritrovare parola.
«Rak!» gridai in ebraico verso la porta. «Rak rega...»
E subito mi corressi guardando con una certa diffidenza l'orologio a muro. «Un attimo!»
Era l'una e mezzo, ma a giudicare dall'opprimente grigiore del cielo sembrava quasi l'ora del tramonto. Dal vapore addensatosi sulla finestra che dal dodicesimo piano s'affacciava all'angolo fra la Nona e la University Place si intravedevano i severi edifici della Fifth Avenue e una striscia di cielo basso e plumbeo che sembrava gravare sopra le canne fumarie.
Il suono perforante lacerò ancora l'appartamento, per poi acquietarsi non appena spensi lo stereo. «Un attimo, arrivo!»
Mi diedi un rapido sguardo allo specchio in ingresso - la coda di cavallo sbilenca, la maglietta e i pantaloni della tuta impolverati - e aprii di scatto la porta.
Sulla soglia c'erano due uomini sulla quarantina in giacca e cravatta scura. Quello di destra, con sotto il braccio una cartellina nera, era alto una testa più dell'altro, che mi stava davanti con un'aria da cowboy sul punto di sfoderare la pistola, o come se reggesse due valigie invisibili. L'impazienza espressa dalle dita dell'altro strette sulla cartellina nera e il chiaro sollievo sul viso paffuto del cowboy attestavano i lunghi minuti nei quali i due avevano aspettato davanti alla porta chiusa.
«Salve», dissi sorpresa, quasi senza voce.
«Salve, signora. Ci scusiamo per il disturbo. Sono l'agente Roberts, e lui è il mio collega, agente Nelson. Siamo dell'FBI. Possiamo entrare per qualche minuto a farle un paio di domande?»
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