Recensione
Vi è mai capitato di leggere un libro davvero molto, molto bello ed appassionante, da cui non ci si riesce a staccare, ma di essere profondamente irritati dal/dalla protagonista che si ostina a comportarsi in modo sconsiderato ed un bel po' idiota, totalmente noncurante di tutti gli insulti che lanciate durante la lettura?Ecco, questo è esattamente ciò che mi è capitato leggendo Borderlife e soprattutto le stupide, stupide paranoie che portano ad ancora più stupide scelte di Liat, protagonista e voce narrante.
Liat è una giovane israeliana, traduttrice, che per sei mesi si trova a lavorare a New York. Proprio a Manhattan conosce Himli, amico di amici, pittore e... palestinese. Già dal loro primo incontro, è chiaro che fra i due c'è intesa, c'è immediata attrazione fisica e mentale, entrano in confidenza con una tale naturalezza che Himli nel giro di qualche ora affibbia già un nomignolo a Liat.
Si sarebbe portati a pensare che una storia d'amore travagliata alla Montecchi e Capuleti possa essere anacronistica nel terzo millennio ma, ahinoi, il nostro evolutissimo e frenetico mondo deve ancora fare i conti con pregiudizi polverosi e paure del diverso. Ed eccoli qui gli ingredienti per un rapporto pieno di insicurezze, di rancori, di tensioni: Liat israeliana, Himli palestinese. Quella che senza alcun dubbio appare come una coppia perfetta ed affiatata deve fare i conti con complicazioni che derivano esclusivamente dalle sovrastrutture e dal peso della storia di due popoli in conflitto da decenni, peso che ha influenzato la vita di generazioni di individui e che non dovrebbe gravare sulle spalle di due innamorati che si sono conosciuti e riconosciuti per caso a New York.
Sottovoce, come per non violare il silenzio domestico e svegliare qualcuno dall'altra parte del mondo, chiedo a Hilmi: "Si vede cosa?"Proprio qui scatta la mia insofferenza nei confronti di Liat. Per carità, in qualche modo capisco il suo terrore della disapprovazione della propria famiglia: si spera sempre di essere supportati e compresi dalle persone che ti amano, e quando si riceve una critica feroce ad una propria scelta la si interpreta come se fosse rivolta verso se stessi, come se si fosse sbagliati, inadeguati. Il punto è che Liat stessa, cresciuta a Tel Aviv, è intrisa di pregiudizi nei confronti dei palestinesi, che emergono con ancora più forza quando si infuria, arrivando fin quasi al razzismo e ad imputare ad un fantomatico modo d'essere arabo i comportamenti di un Himli offeso o deluso. È stato davvero impossibile, per me, non stare dalla parte di Himli, non comprendere la sua irritazione e la sua frustrazione a causa di tutti i problemi che si fa Liat e che rischiano di compromettere il loro rapporto.
"Be', si vede e basta. Si vede che sei una brava ragazza."
Penso a cosa direbbe mio padre della sua brava ragazza se sapesse che sto per salire su un treno con un estraneo, un arabo, un tipo che ho conosciuto qualche ora fa. Che cosa direbbe papà se mi vedesse in questo momento? Un arabo e per di più dei territori occupati, aggiungerebbe mia madre preoccupata. Un uomo che solo Dio sa chi è e cosa fa, Liat. E papà le si avvicina dietro nervosamente: Da dove viene la sua famiglia? Che Dio ci aiuti. Nemmeno Andrew lo conosce bene, ed è tardi...
Profondamente egoista, Liat non si cura affatto dei sentimenti di Himli, li calpesta continuamente. L'unica sua preoccupazione è mantenere segreta la relazione, continuando a ripetersi che quella è una situazione momentanea, passeggera. Certa che non possa né debba durare, quando immagina se stessa e Himli nel futuro, ognuno vive la propria vita.
Il punto (e ciò che mi fa più infuriare) è che non si può lasciare che la propria vita venga condizionata da convinzioni ammuffite che appartengono a generazioni precedenti, da decisioni prese da altre persone mai viste, mai conosciute, che possono influenzarti solo se TU lasci che ti influenzino.
Proprio perché mette in luce tutte queste contraddizioni e queste - diciamolo pure - idiozie, il romanzo di Dorit Rabinyan è stato bandito dalle letture liceali di Israele. Questo è il motivo principale (oltre al fatto che è davvero un bel libro anche se forse, a tratti, un po' prolisso) per cui secondo me dovrebbe essere un dovere leggere Borderlife, così come credo sia un dovere leggere tutti i libri colpiti da censura. Oltretutto, proprio quando imperversano pregiudizi e stereotipi che dovrebbero essere ormai estinti, è utile ricordarsi che un popolo, ogni singolo popolo, è composto di persone.
Voto
L'autrice
Dorit Rabinyan è nata nel 1972 in Israele, da una famiglia ebrea trasferitasi dall'Iran. Ha scritto due romanzi, un soggetto televisivo e alcuni libri per bambini. Uscito nel 2014 e vincitore nel 2015 del prestigioso premio della Fondazione Bernstein, Borderlife, bandito dalle letture liceali dello Stato di Israele, è diventato immediatamente un caso internazionale. Al centro di un'aspra polemica mediatica, sostenuto da firme famose, tra cui quelle di Amos Oz e Abraham Yehoshua, ma soprattutto dal pubblico dei lettori per la straordinaria storia che racconta, il romanzo è volato in testa alle classifiche ed è tuttora conteso dagli editori stranieri per i diritti di pubblicazione.
2 commenti
che bel blog che hai :)
RispondiEliminaborderlife non l'ho letto ma ne ho sentito molto parlare, sono felice ti sia piaciuto :)
Uh, grazie!
EliminaBorderlife te lo consiglio, è davvero bello! :)