Man mano che procedeva la lettura di Dillo tu a mammà di Pierpaolo Mandetta (Rizzoli), questa frase mi riecheggiava continuamente in testa, perché tutto il romanzo si basa sulle aspettative e le delusioni tipiche dei primi anni della nostra vita, fino all'adolescenza. Com'è ovvio, questi anni ci segnano, ci danno le basi con cui poter affrontare le difficoltà future, ritorniamo continuamente alle nostre prime esperienze e non ce ne liberiamo mai. In un momento storico in cui i rapporti umani sembrano più incasinati che mai, poi, è inevitabile ritrovarsi a desiderare ardentemente un ritorno all'infanzia, l'unica certezza a cui possiamo appigliarci, perché la vita da adulti è qualcosa di davvero arduo e siamo troppo poco preparati ad affrontarla.
Questo è ciò che vive Samuele, il protagonista di questa storia, trentenne, meridionale ed omosessuale. Anni prima ha fatto le valigie ed ha lasciato Trentinara, il suo paesino d'origine nel Cilento in cui non si è mai sentito compreso ed accettato, trasferendosi a Milano, dove sperava di trovare un mondo a propria misura, in cui poter finalmente essere se stesso senza dover più nascondere lati della propria personalità o rinunciarvi per amore della famiglia.
Samuele non ha mai fatto coming out con i suoi cari, per la comprensibile paura di non essere capito, di essere respinto ma anche di dover fare i conti con tutto quello che ha messo a tacere dentro di sé quando, armatosi di coraggio, si è lasciato tutto alle spalle andando via di casa. E adesso si ritrova a dover sganciare una bomba: tornerà a Trentinara e dovrà comunicare ai suoi non solo di essere gay ma anche che Gilberto, il suo compagno, gli ha chiesto di sposarlo. Il tutto con l'indispensabile supporto morale di Claudia, milanese DOC parecchio "viziata" dalla vita cittadina che non perde occasione per ostentare stronzaggine e cinismo, evidenti muri tirati su per riuscire a sopravvivere nella spietata città.
Come una sorta di tuffo nel passato, Samuele si ritrova, spiazzato, faccia a faccia con persone e situazioni che hanno segnato la sua adolescenza e, pur avendo ormai a disposizione molti strumenti in più per fronteggiarle, continua a sentirsi inadeguato sia in questa che in altre circostanze: nel suo rapporto con Gilberto, ad esempio, che vive come se fosse una prigione, o non riuscendo a sentirsi all'altezza del proprio lavoro. Vive in continuazione sulla difensiva, insomma, com'è abituato a fare chi è cresciuto in un contesto ostile, circondato da sguardi ostili.
A ciò si aggiungono anche i problemi di comunicazione con i suoi genitori, tipici meridionali dal carattere ruvido e dai modi asciutti e sbrigativi, con evidenti difficoltà nel verbalizzare emozioni e sentimenti. Insomma, ancora una volta Samuele non riesce a non provare sentimenti contrastanti nei confronti del suo paesello: voglia di scappare il prima possibile, nostalgia, astio che in realtà nasconde profondo rancore nei confronti di un posto che non è stato in grado di ricambiare l'amore che lui, nonostante tutto, provava e prova per quelle strade, quelle case, quell'atmosfera.
Più o meno tutti ci perdiamo, almeno una volta nella vita. Abbiamo le vette da conquistare e le escursioni in salita che servono a raggiungerle. Abbiamo le famose gavette o i famigerati obiettivi personali, quelli che accumuliamo sperando che ci assegnino un giorno il titolo di "persona felice". Sono i percorsi più gravosi ma paradossalmente i più affidabili, perché possiamo gestirli con calma, prefissando i vari punti in cui mettere i piedi per issarci, metro dopo metro. Dopo arriva l'apice sensazionale, la presa di coscienza delle vittorie, e gli eventi che ne seguono si accavallano in autonomia. Ci travolgono, li facciamo sfogare e sembra che la vita possa proseguire da sola: ormai è fatta. Dura poco, però, perché si perde l'equilibrio e ci si inclina sul versante opposto. Gli eventi smettono di susseguirsi e ci schiantiamo al suolo, scoprendo di trovarci in un territorio nuovo, in cui dobbiamo rimetterci in cammino per trovare scorci familiari. Un palo della luce, un'insegna rossa, la pensilina. Ci resettiamo. Ricominciamo da capo. Non sappiamo più perché stavamo perseguendo delle mete e non sappiamo neanche che cosa vorremmo fare d'ora in avanti.La verità, come al solito, è nel mezzo. Ho senz'altro apprezzato che da questo libro esca un po' incrinato lo stereotipo di un Sud inteso perennemente come porto sicuro, come un luogo accogliente che sa di casa. Essendo costituito di una miriade di realtà prevalentemente medio-piccole fortemente ancorate alle proprie tradizioni, chi si discosta dalla "norma", in qualunque senso la vogliate intendere, viene guardato con sospetto. È anche vero, però, che in Samuele c'è forse un po' troppa autocommiserazione, alimentata da fantasmi del passato, soprattutto perché ci si rende ben presto conto che Trentinara è molto meno chiusa di quanto ci si sarebbe aspettati.
Come avrete capito, tutto è incentrato su Samuele, gli altri personaggi sono soltanto di contorno, comparse sullo sfondo. Da un lato ha senso, perché il percorso di rinascita dopo aver toccato il fondo riguarda soltanto lui, dall'altro mi sarebbe piaciuta una maggiore cura nella costruzione degli altri personaggi e nell'interazione fra loro. L'azione, qui, è sacrificata per dare spazio a lunghe riflessioni del protagonista, e proprio per questo si ha spesso l'impressione di star leggendo non un romanzo, ma un blog. Pierpaolo Mandetta è evidentemente abituato a comunicare in Internet con il suo Vagamente Suscettibile, dato che anche in Dillo tu a mammà spiccano il linguaggio e l'umorismo tipici del web. Uno stile che però su carta, almeno in questo caso, non rende al massimo.
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L'autore
Pierpaolo Mandetta (1987) vive tra Milano e la provincia di Salerno. Scrive sul blog "Vagamente Suscettibile", dove nella rubrica La Posta del Cuore risponde alle sue lettrici su tradimento, sesso e amore.
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