• Recensione •
La bella scrittura di Rafael Chirbes

Rafael Chirbes
La bella scrittura

Feltrinelli
23 giugno 2016
brossura • 118 pagine
€ 13.00 • amazon.it
La bella scrittura è un condensato delle ferite lasciate dietro di sé dalla Guerra civile spagnola: i tradimenti, i cambi di casacca, l'illegittimità della ricchezza accumulata in quegli anni, ma anche le sofferenze, la lotta per la dignità degli sconfitti. E soprattutto l'illegalità. La terribile illegalità su cui è stata costruita la società franchista e postfranchista. Attraverso la storia di una famiglia come tante e un meccanismo narrativo preciso, implacabile, Rafael Chirbes smaschera l'indicibile baratto che fu proposto agli spagnoli: il benessere in cambio dell'ideologia, o meglio, il denaro in cambio della verità.
Recensione
La bella scrittura di Rafael Chirbes è un bellissimo romanzo scoperto per caso (talmente per caso che nemmeno riesco a ricordare la circostanza). Bellissimo e brevissimo ma, nonostante la brevità, si sedimenta: i capitoli sono così intensi da dover essere centellinati. Mi ha salvata da un incombente blocco del lettore, che stava per cogliermi a causa di una lunga serie di letture poco appassionanti e noiosette anzichenò, nonostante vada a pungolare e a rigirare lame assortite nel mio ormai eterno punto debole della saudade. ☔


La voce narrante è quella di Ana, anziana signora spagnola, che scrive una lunga lettera a suo figlio Manuel per raccontargli alcuni episodi significativi della storia della loro famiglia, aneddoti che Manuel non può conoscere perché all'epoca non era ancora nato. Il racconto procede in base all'ordine con cui riemergono i ricordi, ed è per gradi, infatti, che vengono svelati sempre più dettagli della vita di Ana e dei suoi familiari: vite come tante altre, fatte di alti e bassi, di momenti allegri e di periodi neri, difficili, che sembrano non dover passare mai. L'intento è quello di affidare i ricordi alla carta per passare il testimone, per far sì che quelle vite, quei momenti, quegli anni non spariscano per sempre.
Angelines, Rosa Palau, Pedro, i tuoi nonni, Inès e Ricardìn, Marga, tutti erano morti uno dopo l'altro negli anni che separavano il giorno del matrimonio da quello, ormai appassito, in cui bruciai la fotografia. Si tratta, per lo più, di nomi che non ti dicono nulla, che hai avuto occasione di sentire solo di tanto in tanto. Furono la mia vita. Gente che ho amato. Ognuna di queste assenze mi ha colmato di sofferenza e mi ha tolto voglia di vivere.
La storia di queste persone si intreccia inevitabilmente con la storia nazionale di una Spagna colpita dalla guerra civile prima e dal lungo regime di Francisco Franco poi. La fame, la paura, la morte colpiscono ripetutamente la famiglia di Ana, ma proprio le innumerevoli difficoltà quotidiane rinsaldano i rapporti, che diventano semplici, diretti, con pochi fronzoli, ma profondissimi. L'armonia verrà intaccata solo in seguito, con l'arrivo di un elemento esterno che porterà con sé sospetto, smania di emergere, falsità, rancori e amarezza.

Ana racconta tutto ciò, e finalmente libera le sue sensazioni più intime, quelle provate all'epoca e che non ha mai osato esprimere a voce alta, soffrendo, per questo, ancora di più.
La prosa è asciutta, intrisa di un amaro senso di ineluttabilità, ma le brevi frasi di Ana nascondono sentimenti e riflessioni di una profondità disarmante. Ad emergere sono il rimpianto e la nostalgia per tutto ciò che è svanito per sempre, che non avrebbe potuto mai essere trattenuto: momenti, ricordi, luoghi, persone che costituiscono l'intero mondo di ognuno di noi, tutto ciò che ci protegge anche solo grazie alla semplice consapevolezza che quel qualcosa c'è, o c'è stato, e che per questo dà la forza di affrontare diversi ostacoli.
Non riesco a riempire i vuoti che il tempo ha via via lasciato nella città. Cammino fino a quando comincia a far buio e allora smorzo ancor più la luce del sole morente e lascio la città nella penombra, così com'è rimasta nella mia memoria di quegli anni tristi, nei quali avevamo però il balsamo della gioventù, che era un olio che lubrificava tutto, che attenuava le grida di dentro e, spesso, le deformava e le trasformava in risate.
Il tempo passa, cancella tutto e rende tutto vano.
Quello che resta, in questo caso, è il racconto di Ana, dolceamaro come il ricordo di un tempo perduto per sempre.

L'autore
Rafael Chirbes (Tavernes de la Valldigna, Valencia, 1949 - Beniarbeig, 2015) ha iniziato a studiare all’età di otto anni alla scuola degli orfani dei ferrovieri. A sedici anni si è trasferito a Madrid dove ha studiato Storia moderna e contemporanea. Ha vissuto in Marocco, a Parigi, Barcellona, La Coruña, in Extremadura e, nel 2000, è tornato a Valencia. Oltre alla narrativa, si è dedicato alla critica letteraria e all’attività giornalistica scrivendo recensioni gastronomiche e racconti di viaggio. Considerato un gigante della narrativa spagnola, con Feltrinelli ha pubblicato Sulla sponda (2014), giudicato il miglior romanzo del 2013 dal “País” e vincitore del Premio de la Crítica de narrativa castellana e del Premio Francisco Umbral.

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