• Recensione •
Il bizzarro incidente del tempo rubato di Rachel Joyce

Rachel Joyce
Il bizzarro incidente del tempo rubato

Sperling & Kupfer
1 ottobre 2013
rilegato • 371 pagine
€ 17.90 • amazon.it
Nel 1972 Byron Hemmings ha undici anni e una vita perfetta: vive in una grande casa elegante, ha una mamma impeccabile che fa impallidire tutte le altre, frequenta una scuola privata che è l'anticamera di una carriera dorata e il suo migliore amico, James, è il ragazzino più sveglio che conosca. Tanto sveglio da leggere il Times e da scovare la notizia del secolo: quell'anno verranno aggiunti due secondi al tempo, per allineare gli orologi al movimento naturale della Terra. Mentre James considera l'evento l'ennesima conquista del Ventesimo secolo - l'uomo è persino andato sulla Luna - per Byron quei due secondi diventano un'inquietante ossessione: come si può alterare il tempo senza provocare conseguenze irreparabili? La conferma ai suoi dubbi arriva la mattina in cui, come sempre, la mamma lo sta portando a scuola con la sua Jaguar fiammante: è in ritardo e, per fare più in fretta, rompe lo schema ordinato di ogni giorno imboccando una strada nuova. Dalla fitta nebbia sbucano case fatiscenti, alberi giganteschi e, all'improvviso, una bambina su una bicicletta rossa. Proprio mentre Byron vede le lancette del suo orologio andare indietro di due secondi. Poi tutto sembra tornare normale: la mamma non si è accorta di nulla, la scorciatoia li ha fatti arrivare puntuali e il tempo ha ricominciato a scorrere con il suo ticchettio regolare. Soltanto Byron sa che quell'attimo ha cambiato ogni cosa, che la sfera perfetta della sua esistenza si è impercettibilmente incrinata.
Recensione
Avete presente la teoria del piano inclinato? No? Ve la spiego. Se mettete una pallina su un piano inclinato la pallina comincia a scendere e, per quanto impercettibile sia l'inclinazione, inizia correre e correre sempre più veloce. Fermarla è impossibile.
Questa citazione necessaria, che arriva dritta dritta da Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo, è la perfetta sintesi de Il bizzarro incidente del tempo rubato di Rachel Joyce.

La vicenda, ambientata in Gran Bretagna alternativamente ad inizio anni '70 e ai giorni nostri o giù di lì, prende il via nella società "bene", quella delle famiglie padre-madre-bambino-bambina-eventuale cane che vivono in villette dai giardini curatissimi, in cui le mogli non devono lavorare ma solo aspettare il marito in casa, sempre perfette, mentre i figli frequentano scuole private.
In questo contesto vive Byron Hemmings, undici anni, un ragazzino molto sveglio e curioso che un giorno, parlando col suo migliore amico James Lowe, scopre qualcosa che ritiene inconcepibile e lo sconvolge, e che da quel momento monopolizza i suoi pensieri: in quell'anno, bisestile, per far coincidere lo scorrere del tempo con la rotazione terrestre, ci saranno due secondi in più.

Da qui inizia l'ossessione di Byron, che ormai dà per certo che, dal momento che non è possibile manipolare impunemente una cosa tanto delicata come il tempo, proprio in quei due secondi accadrà qualcosa di tragico. Ed infatti, mentre sua madre Diana sta accompagnando lui e sua sorella Lucy a scuola passando per Digby Road, una scorciatoia in un quartiere non molto raccomandabile, qualcosa accade: una bambina, in sella alla sua bici rossa, attraversa la strada e viene urtata dall'auto di Diana, che però non si accorge di niente. Viene infatti distratta da Byron che tenta di farle vedere che il suo orologio sta andando all'indietro, segno inequivocabile che i due secondi sono stati aggiunti proprio in quell'istante.


Inizia la corsa della pallina sul piano inclinato.
Talmente grande è l'amore che Byron prova per sua madre che, nonostante sia solo un bambino, per lui diventa automatico proteggerla prima dalla verità su quell'incidente di cui lei non si è minimamente accorta, e poi dalle conseguenze dell'incidente stesso. Quello con Byron non sembra essere il classico rapporto madre-figlio: in più occasioni lui sembra - o fa di tutto per sembrare - più maturo di Diana, e cerca di prendersi cura di lei senza chiedersi se abbia effettivamente bisogno del suo aiuto o meno. Tutti gli sforzi di Byron sono imputabili anche al fatto che probabilmente si sente "l'unico uomo di casa", dato che il padre è via per lavoro per gran parte della settimana.

Diana è effettivamente una donna sola e fragile, che farebbe di tutto per riempire le proprie giornate o perlomeno per riconquistare un po' di quella libertà persa col matrimonio. Conosciamo così Seymour Hemmings: padre padrone, severo, maschilista, conservatore e dispotico (per non dire fascista), capace di far sentire costantemente in difetto e a disagio l'intera famiglia, con i suoi silenzi ed i suoi sguardi indagatori. Quando c'è lui, in casa piomba il gelo, i bambini diventano più silenziosi, Diana cerca di non contrariare il marito provando ad essere più perfetta di quanto già non sia.
Come al solito il padre chiamò e come al solito sua madre gli giurò che non c'era nessuno. "Nemmeno il lattaio", disse ridendo. Poi aggiunse rapidamente: "No, non avevo intenzione di essere scortese, tesoro". Mentre ascoltava la risposta pugnalava la moquette con la punta della scarpa. "Ma certo che m'importa. Ma certo che vogliamo rivederti." Ancora una volta riappese la cornetta e la fissò.
Ma soprattutto, Seymour non deve assolutamente venire a conoscenza dell'esistenza di Beverley, la madre della bambina dell'incidente, che tutt'a un tratto prende l'abitudine di recarsi ogni giorno a casa di Diana, insinuandosi e conquistando sempre più spazio nelle sue giornate e nella sua mente. Si arriva perfino alle prime velate minacce, ai ricatti che fanno leva sul senso di colpa per l'incidente. Ma Diana non si accorge di nulla, o forse preferisce far finta di non vedere e continuare ad illudersi di aver finalmente trovato una cara amica. L'alternativa sarebbe il tornare ad essere sola, a non sapere come riempire la propria vita che trascorre soltanto nell'attesa del ritorno del marito nel fine settimana e fra un tè e l'altro con le altre mamme del quartiere, tanto diverse da lei, così prese da pettegolezzi, formalità e sovrastrutture. Viene fuori l'immagine di un mondo di adulti cattivi e meschini, in cui Diana è un'eccezione.

La pallina continua a correre sul piano inclinato, la situazione precipita nonostante gli sforzi di Byron e del suo colto amico James che tenta di dargli una mano, mosso dalla profonda ammirazione (o forse qualcosa in più) che nutre per Diana.
Con un salto, si arriva ai giorni nostri, ad un tale Jim, ex paziente di una struttura che somiglia più ad un manicomio che ad una casa di cura. Una persona spezzata da un evento tragico che tenta di tirare avanti destreggiandosi fra un lungo elenco di disturbi ossessivo-compulsivi, e che altro non è che il risultato di quel lento processo messo in moto ad inizio estate di quel lontano 1972, a causa di soli due secondi.
Schegge di ricordi gli lampeggiano nella mente ed è come essere colpito dal fulmine. Oltre Cranham Village, oltre la brughiera, ci sono gli anni perduti, le persone perdute, c'è tutto questo. Ripensa all'espressione confusa di Eileen e al ragazzo che un tempo era suo amico. Pensa al ponte sullo stagno e ai due secondi che hanno dato inizio a tutto quanto.
Il dolore al piede non è nulla, a confronto di quell'altra ferita che è dentro, in profondità. Non è possibile espiare il passato. Ci sono soltanto gli errori commessi.
Temi centrali di questo romanzo sono le occasioni perse, i brevi istanti che possono cambiare l'intero corso della vita e la rinascita, che arriva quando ormai non ci si spera più ma che permette di  ricominciare, di riprendere in mano la propria esistenza.
Il problema è che ingrana più o meno dopo cento pagine, e fino a quel punto avevo il costante sospetto che tutta la storia dell'incidente fosse solo una roba da bambini. Avevo l'impressione che tutto fosse frutto dell'immaginazione di Byron, il quale forse in casa capta segnali di un malessere che però non riesce a riconoscere, essendo troppo piccolo, e quindi prende per vera una cosa mai accaduta. Anche in seguito, però, il romanzo continua ad essere troppo statico: tutto viene tirato per le lunghe, come una lunga preparazione a chissà quale rivelazione epocale, ci si carica di aspettative per una svolta di qualche tipo, che però viene sempre rimandata. Non si capisce dove vuole andare a parare, in parole povere. La lettura, per fortuna, viene alleggerita dallo stile della Joyce, dalle sue descrizioni molto particolareggiate ma mai pesanti, che permettono alle scene, ai luoghi ed ai personaggi di prendere forma nella mente con facilità. Nonostante ciò, non mi ha coinvolta. Ancora una volta (l'ennesima, quest'anno 😟) non c'è stata quella voglia di riprendere in mano il libro alla prima occasione per continuare la lettura e vedere come sarebbe andata a finire.
Voto
L'autrice
Rachel Joyce è nata nel Gloucestershire, dove vive tuttora con il marito, i figli e molti animali. Ha lavorato diversi anni per i canali radiofonici della BBC, scrivendo sia sceneggiati originali sia adattamenti di grandi classici della letteratura. Il suo primo romanzo, L'imprevedibile viaggio di Harold Fry, è stato un bestseller internazionale con più di un milione di copie vendute in trentaquattro Paesi, finalista al Commonwealth Book Prize e al Man Booker Prize. www.rachel-joyce.co.uk

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